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CODICE D'ONORE
(A FEW GOOD MEN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 gennaio 1993
 
di Rob Reiner, con Tom Cruise, Jack Nicholson, Demi Moore (1992)
 

Prima la Patria, poi Dio e, subito dopo ma proprio perché non se ne può fare a meno, la Compagnia: è il codice d'onore dei Marines.

A chi l'infrange, a chi per esempio fa la spia (come qui, alla base americana di Guantanamo dove, dall'altra parte del filo di ferro, sono schierati gli ultimi nemici rimasti in circolazione, i cubani...), a chi non ce la fa a seguire nella marcia forzata o si limita a fare pipì a letto, viene applicato un altro articolo, che non sta scritto da nessuna parte, il "codice rosso". Comincia così, il film, tra il serio ed il faceto come capita beninteso fra commilitoni, era dura ma ci si faceva anche un sacco di risate, per non parlare della camerateria: solo che ci scappa il morto. A coprire l'intera faccenda, oltre che il solito sergente fanatico con Ray Ban (l'ottimamente truce figlio di Donald, Kiefer Sutherland) ed ad un paio di stolidi bestioni che arrischiano di lasciarci le penne, c'è soprattutto lui, il colonnello Nathan Jessup, tutto d'un pezzo perché così di natura oltre che d'educazione, e poi magari anche perché in procinto di essere trasferito allo stato maggiore del Pentagono. Qualcuno cita allora il processo di Norimberga: i subordinati sono corresponsabili?

Un vecchio dilemma, insomma. Quello di qualche capolavoro come ORIZZONTI DI GLORIA del grande Kubrick, o di qualche celebre riflessione sulla psicopatia del commando tipo AMMUTINAMENTO DEL CAINE, al quale si pensa ogni tanto: occorre ubbidire, anche quando - oltre ad ogni ragionevole, si fa per dire, buonsenso - si arrischia la dignità e poi la vita umana? Inutile dire che per il colonnello Jessup non vi sono dubbi: se volete difendere la vostra Patria e quei mollaccioni imboscati a Washington, per prima cosa imparate ad obbedire. E tanto peggio se poi vi capita anche di uccidere.

Il cinema americano, anche questa non è una novità, continua ad attirare le folle di ogni continente guardandosi bene dal cambiare le formule: ciò che conta è il contenuto, o il modo di esporle. Primo, diceva Hitchcock che di spettacolo (oltre che di arte registica genuina) se ne intendeva, riesci il Cattivo: e qui, al diabolico Jack Nicholson mancano solo le zanne, quando si appresta a spalancare le fauci, e cioè quasi sempre. Uno spettacolo nello spettacolo, appunto. A contrastarlo, fino a trascinarlo in tribunale, ecco ciuffo Tom Cruise. Nei panni di un esordiente giurista, che così si fa così le ossa in periodo di leva, invece che stare a Guantanamo a ciccare sui cubani. Un po' giovane per la sua parte, ma di piena soddisfazione per le mini-spettatrici e la capitana di corvetta Demi Moore, che gli mettono alle costole per permettergli qualche frecciata maschilista visto l'ambiente.

Non così prevedibile (all'interno della sua formuletta), non così antimilitarista (ci sarà qualche cellula impazzita, ma il sistema è in grado di autocorreggersi immediatamente...) CODICE D'ONORE è firmato da Rob Reiner, e si vede. L'autore di HARRY TI PRESENTO SALLY e di MISERY è uno straordinario camaleonte, capace di adattarsi ad ogni situazione: sceneggiatura a tutta prova (449 repliche a Broadway della pièce di Aaron Sorkin..), dialoghi pimpanti che tengono a bada i mostri alla Nicholson e svegliano i Tom Cruise, ritmo impeccabile, ed il suspense sempre efficace del "courtroom drama". Magari un po' infiacchito dal solito giudice apparentemente becero ed implacabile, che però alla fine martella il cattivo procuratore per il giubilo della platea.

Con quattro idee sufficienti per far già parlare di trasparenza clintoniana, basta a fare di CODICE D'ONORE la meno sciocca delle strenne natalizie.

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